Auguri a Elena
.
Finalmente la Bolivia.
Ma andiamo con ordine.
Ci eravamo lasciati in prossimità di Salta, cittadina che mi è piaciuta tantissimo.
Poi siamo saliti fino a Humahuaca, a un’ora e mezza dal confine, e qui ho visto una delle cose piu incredibili che mi sia mai capitato: il Cerro (collina)di Hornocal
Guardatevi le foto del Drino per capire (le metteremo fra qualche giorno)
Con l’approssimarsi della Bolivia è arrivata l’altura.
Humahuaca è a 3300 metri, il Cerro era a 4300.
Avevo qualche timore, ma per ora tutto bene.
L’altro giorno, quel grande amico che è il Drino ha fatto questa simpatica considerazione: “Hai presente le altitudini che incontreremo in Bolivia e Peru? Hai presente le altezze delle popolazioni che ci vivono? Fai un po’ due conti, se la natura ha voluto che fossero alti un metro e trenta ci sarà pure un motivo. Auguri”
Si, gli ho tirato tutto quello che potete immaginarvi e anche di piu.
Bolivia: si, è decisamente diversa.
Innanzitutto il confine: lo abbiamo attraversato a piedi, zaino in spalla. Vi ricordate i racconti su quei rompipalle di cileni che controllavano (a volte) tutto? Qui l’esatto contrario: siamo passati, abbiamo firmato un documento e via. Avrei potuto introdurre qualunque cosa.
Ma sono fatti così, di natura si fidano.
Al di là del confine un discreto casino, ma non è Tihuana. Come il Drino mi ha fatto notare, c’erano duemila bancarelle, ma nessuno (nessuno!) ci ha disturbati per venderci qualcosa. Se ne stanno li, discreti ed educati, aspettando che sia tu a fare domande. Grandi.
Il viaggio dal confine a Tupiza è stato … un’avventura nel vero senso della parola.
Facendo un passo indietro, all’hostal di Salta il proprietario ci aveva avvisati che in Bolivia si deve viaggiare in treno (“nei bus ti si siede vicino una con in mano un coniglio e un pollo, oppure con un bambino che ti caga addosso” testualmente).
Solo che il treno per Tupiza c’è quattro giorni alla settimana, a orari impossibili e mai al Sabato e Domenica.
Sicchè si è preso il bus.
Partiamo dal biglietto.
Su mia richiesta, si è deciso di prendere il primo bus disponibile, per provare ad arrivare in tempo a vedere il derby (fanculo Chiellini di merda).
Al primo sportello mi racconta che trova un uomo con la testa adagiata sul bancone.
“Avete un bus per Tupiza?”
“No” dopo mezzo minuto.
“Come no?”
“Domani”
“E perché oggi no?”
“Il bus è morto?”
Sandro ne trova uno alle 14.30 (19.30 italiane), presi gli ultimi due biglietti. Dobbiamo fare solo 80 km, quindi almeno il secondo tempo è garantito.
Poi, giusto per sfizio chiediamo quanto ci mette. Risposta: tre ore.
Come tre ore? Per fare 80 chilometri? Tre ore.
Passiamo all’autista.
Subito prima della partenza, lo vediamo accovacciato a raccogliere e masticare foglie di coca (non è cocaina, qui è legale, le si mastica è per l’altura) sparse a terra, ovviamente in mezzo a terra e polvere.
Ora tocca al bus.
Sulla portiera fanno bella mostra quattro adesivi: tv, cocktail, sedili abbondantemente reclinabili, aria condizionata.
Saliamo.
Abbiamo i posti 27 e 28, sono due dei cinque in fondo, gli altri due sono il 26 e 27, quello in mezzo non ha numero. Spero già di mettermi li ed allungare le gambe. Si, perché il bus non è propriamente accogliente. Sporco, basso, ma soprattutto stretto, tanto stretto per le mie gambe minute.
Quando ormai è pieno sale una donna che dice di avere il 29. ci sembra una palla, perché a Sandro hanno dato gli ultimi due, ma può essere. Dietro di lei arriva un uomo che dice di avere il 30. prima ridiamo, poi, sempre ridendo, gli diciamo che il 30 è di sopra, sul tetto. Poi diventiamo seri e preoccupati, perché ci rendiamo conto che questa potrebbe essere un’evenienza fattibile. Alla fine si scopre che avevano sbagliato bus. Quindi si viaggerà quasi comodi? Assolutamente no. Una decina abbondante di viaggiatori assedia il corridoio, per farsi il viaggio in piedi. Nel sedile centrale si siede una giovane donna con poppante in braccio e figlioletto davanti a lei. Sul bus una discreta tipologia di umanità. Ripenso alle parole del gestore dell’hostal di Mendoza: mancano gli animali a bordo e la poppante non mi ha fatto niente addosso. Per il resto ci siamo.
Ed infine eccoci al viaggio.
Immediato capire perché ci si metteranno tre ore: pronti via e si passa in mezzo alle cunette di terra, create dagli scavi per la costruzione di una strada vera e propria. È una sorta di gincana con annesse montagne russe, per tutto il viaggio. A un certo punto, ovviamente, il bus si ferma, un autista si mette orizzontale sotto e dopo una mezzoretta si riparte: tutto normale, già visto, quasi banale. Saltuariamente si supera qualcuno, spesso si viene superati, sempre, l’autista suona il clacson, in modo prolungato e cattivo. Viene da pensare che stia facendo una gara. Ad ogni incontro con un altro mezzo, si sprigionano nuvoloni di terra che, se possibile, sporcano ancora di piu il nostro abitacolo.
Ad un certo punto si sente un botto fragoroso, con rumore di specchi rotti. Tutti pensiamo che si sia staccato il vetro del tettuccio centrale, ma nessuno di quelli sotto fa una piega.
Il bus non si ferma e tutto sembra normale: forse ci siamo sbagliati.
Poi, dopo qualche chilometro, guardo davanti e vedo: la metà destra del parabrezza completamente sporca, mentre quella sinistra pulitissima. Guardo meglio e scopro che non è pulita, manca il vetro.
Cazzo, si è staccato il vetro e l’autista non ha fatto una piega e non si è nemmeno fermato.
Che uomo.
Ti stimo fratello (poi del vero “ti stimo fratello” parlerò in un’altra mail).
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Finalmente la Bolivia.
Ma andiamo con ordine.
Ci eravamo lasciati in prossimità di Salta, cittadina che mi è piaciuta tantissimo.
Poi siamo saliti fino a Humahuaca, a un’ora e mezza dal confine, e qui ho visto una delle cose piu incredibili che mi sia mai capitato: il Cerro (collina)di Hornocal
Guardatevi le foto del Drino per capire (le metteremo fra qualche giorno)
Con l’approssimarsi della Bolivia è arrivata l’altura.
Humahuaca è a 3300 metri, il Cerro era a 4300.
Avevo qualche timore, ma per ora tutto bene.
L’altro giorno, quel grande amico che è il Drino ha fatto questa simpatica considerazione: “Hai presente le altitudini che incontreremo in Bolivia e Peru? Hai presente le altezze delle popolazioni che ci vivono? Fai un po’ due conti, se la natura ha voluto che fossero alti un metro e trenta ci sarà pure un motivo. Auguri”
Si, gli ho tirato tutto quello che potete immaginarvi e anche di piu.
Bolivia: si, è decisamente diversa.
Innanzitutto il confine: lo abbiamo attraversato a piedi, zaino in spalla. Vi ricordate i racconti su quei rompipalle di cileni che controllavano (a volte) tutto? Qui l’esatto contrario: siamo passati, abbiamo firmato un documento e via. Avrei potuto introdurre qualunque cosa.
Ma sono fatti così, di natura si fidano.
Al di là del confine un discreto casino, ma non è Tihuana. Come il Drino mi ha fatto notare, c’erano duemila bancarelle, ma nessuno (nessuno!) ci ha disturbati per venderci qualcosa. Se ne stanno li, discreti ed educati, aspettando che sia tu a fare domande. Grandi.
Il viaggio dal confine a Tupiza è stato … un’avventura nel vero senso della parola.
Facendo un passo indietro, all’hostal di Salta il proprietario ci aveva avvisati che in Bolivia si deve viaggiare in treno (“nei bus ti si siede vicino una con in mano un coniglio e un pollo, oppure con un bambino che ti caga addosso” testualmente).
Solo che il treno per Tupiza c’è quattro giorni alla settimana, a orari impossibili e mai al Sabato e Domenica.
Sicchè si è preso il bus.
Partiamo dal biglietto.
Su mia richiesta, si è deciso di prendere il primo bus disponibile, per provare ad arrivare in tempo a vedere il derby (fanculo Chiellini di merda).
Al primo sportello mi racconta che trova un uomo con la testa adagiata sul bancone.
“Avete un bus per Tupiza?”
“No” dopo mezzo minuto.
“Come no?”
“Domani”
“E perché oggi no?”
“Il bus è morto?”
Sandro ne trova uno alle 14.30 (19.30 italiane), presi gli ultimi due biglietti. Dobbiamo fare solo 80 km, quindi almeno il secondo tempo è garantito.
Poi, giusto per sfizio chiediamo quanto ci mette. Risposta: tre ore.
Come tre ore? Per fare 80 chilometri? Tre ore.
Passiamo all’autista.
Subito prima della partenza, lo vediamo accovacciato a raccogliere e masticare foglie di coca (non è cocaina, qui è legale, le si mastica è per l’altura) sparse a terra, ovviamente in mezzo a terra e polvere.
Ora tocca al bus.
Sulla portiera fanno bella mostra quattro adesivi: tv, cocktail, sedili abbondantemente reclinabili, aria condizionata.
Saliamo.
Abbiamo i posti 27 e 28, sono due dei cinque in fondo, gli altri due sono il 26 e 27, quello in mezzo non ha numero. Spero già di mettermi li ed allungare le gambe. Si, perché il bus non è propriamente accogliente. Sporco, basso, ma soprattutto stretto, tanto stretto per le mie gambe minute.
Quando ormai è pieno sale una donna che dice di avere il 29. ci sembra una palla, perché a Sandro hanno dato gli ultimi due, ma può essere. Dietro di lei arriva un uomo che dice di avere il 30. prima ridiamo, poi, sempre ridendo, gli diciamo che il 30 è di sopra, sul tetto. Poi diventiamo seri e preoccupati, perché ci rendiamo conto che questa potrebbe essere un’evenienza fattibile. Alla fine si scopre che avevano sbagliato bus. Quindi si viaggerà quasi comodi? Assolutamente no. Una decina abbondante di viaggiatori assedia il corridoio, per farsi il viaggio in piedi. Nel sedile centrale si siede una giovane donna con poppante in braccio e figlioletto davanti a lei. Sul bus una discreta tipologia di umanità. Ripenso alle parole del gestore dell’hostal di Mendoza: mancano gli animali a bordo e la poppante non mi ha fatto niente addosso. Per il resto ci siamo.
Ed infine eccoci al viaggio.
Immediato capire perché ci si metteranno tre ore: pronti via e si passa in mezzo alle cunette di terra, create dagli scavi per la costruzione di una strada vera e propria. È una sorta di gincana con annesse montagne russe, per tutto il viaggio. A un certo punto, ovviamente, il bus si ferma, un autista si mette orizzontale sotto e dopo una mezzoretta si riparte: tutto normale, già visto, quasi banale. Saltuariamente si supera qualcuno, spesso si viene superati, sempre, l’autista suona il clacson, in modo prolungato e cattivo. Viene da pensare che stia facendo una gara. Ad ogni incontro con un altro mezzo, si sprigionano nuvoloni di terra che, se possibile, sporcano ancora di piu il nostro abitacolo.
Ad un certo punto si sente un botto fragoroso, con rumore di specchi rotti. Tutti pensiamo che si sia staccato il vetro del tettuccio centrale, ma nessuno di quelli sotto fa una piega.
Il bus non si ferma e tutto sembra normale: forse ci siamo sbagliati.
Poi, dopo qualche chilometro, guardo davanti e vedo: la metà destra del parabrezza completamente sporca, mentre quella sinistra pulitissima. Guardo meglio e scopro che non è pulita, manca il vetro.
Cazzo, si è staccato il vetro e l’autista non ha fatto una piega e non si è nemmeno fermato.
Che uomo.
Ti stimo fratello (poi del vero “ti stimo fratello” parlerò in un’altra mail).
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